Quarantena, vera Quaresima di digiuno
Senza lavoro, senza salute, senza feste, senza persone care vicino (sul letto di malattia se non di morte), con sempre meno entrate. Sono le esperienze che ha fatto l’umanità in tante parti del mondo e anche qui da noi. Voglio soffermarmi su due aspetti del digiuno che ha fatto la Chiesa: senza la Messa e senza il Popolo di Dio, ossia “senza la possibilità di celebrare con gli altri la messa e ricevere l’Eucaristia, scambiarsi un segno di pace e sentirsi comunità radunata, senza celebrare i sacramenti”. Ma se questa esperienza è stata di ogni cristiano battezzato, aggiungo anche che per noi preti, che abbiamo avuto il “privilegio” di celebrare da soli (ma uniti al corpo mistico di Cristo che è la Chiesa) l’Eucaristia, c’è stato un digiuno di popolo che ha pesato non poco. Certo, tutti abbiamo sentito la nostalgia di poterci trovare a condividere la fede nella gioia della preghiera corale, nel canto, nei sorrisi e nei saluti, ma noi preti questo digiuno l’abbiamo sentito in modo molto doloroso, credetemi.
Le parole di papa Francesco a un Giovedì santo di qualche anno fa, messa Crismale che quest’anno non è stata neppure celebrata, sono molto evocative a riguardo di una gioia che può sentire in particolare il prete: "Il Signore ci ha unto in Cristo con olio di gioia e questa unzione ci invita a ricevere e a farci carico di questo grande dono: la gioia, la letizia sacerdotale. La gioia del sacerdote è un bene prezioso non solo per lui ma anche per tutto il popolo fedele di Dio: quel popolo fedele in mezzo al quale è chiamato il sacerdote per essere unto e al quale è inviato per ungere". E’ vero che la gioia non nasce solo dall’incontro con gli altri ma prima di tutto con Cristo. Ma per il prete l’incontro con il popolo di Dio e l’incontro con Cristo sono una cosa sola. Perché lui rappresenta il Cristo che ama e cura le sue pecore, al punto che non può definire se stesso se non a partire dal suo compito. Addirittura il papa pensa che se si dimenticasse di questo il prete ne uscirebbe fortemente stravolto nell’identità: “Credo che non esageriamo se diciamo che il sacerdote è una persona molto piccola: l'incommensurabile grandezza del dono che ci è dato per il ministero ci relega tra i più piccoli degli uomini. Il sacerdote è il più povero degli uomini se Gesù non lo arricchisce con la sua povertà, è il più inutile servo se Gesù non lo chiama amico, il più stolto degli uomini se Gesù non lo istruisce pazientemente come Pietro, il più indifeso dei cristiani se il Buon Pastore non lo fortifica in mezzo al gregge. Nessuno è più piccolo di un sacerdote lasciato alle sue sole forze; perciò la nostra preghiera di difesa contro ogni insidia del Maligno è la preghiera di nostra Madre: sono sacerdote perché Lui ha guardato con bontà la mia piccolezza (cfr Lc 1,48).
Concludo sul tema del digiuno: abbiamo veramente fatto una Quaresima speciale, col digiuno da tante cose: non di cibo o di TV o di social come facevamo tradizionalmente (forse su questo anzi ci abbiamo dato dentro più che non in altri periodi), ma digiuno di contato umano, di relazioni fisiche, di sacramenti nel loro lato molto umano e sensoriale (un pane, una mano, uno sguardo, una persona, una carezza). Un digiuno che a noi preti è pesato per la mancanza di Chiesa, intesa come “ecclesia”, cioè “raduno”. Non che sia mancata la Chiesa in tutti i suoi aspetti più alti, come la Parola di Dio o l’unione comunionale nella preghiera, chè anzi queste cose, spero, le abbiamo riscoperte di più, volevo solo sottolineare un aspetto che forse a qualcuno è sfuggito e che offro a voi come spunto per comprendere un po’ di più i vostri preti.
Con affetto, don Claudio
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